“Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni” di E.A. Abbott


Al termine di ogni libro mi prendo sempre qualche minuto per trarne le conclusioni. Mi è piaciuto? Mi ha solo divertita o anche arricchita? Lo consiglierei?

Solitamente, rispondere è facile. Con “Flatlandia” no.

Non mi ha presa, nè particolarmente divertita, ma mi ha arricchita e lo consiglierei. Risposte decisamente insolite nel loro insieme, no?

Considero geniale questo piccolo racconto e geniale la mente che lo ha scaturito. Non è solo fantastico, ma anche matematico, storico, sociologico e, soprattutto, filosofico. Apre la mente.

Quando mai vi è capitato di leggere un libro dove i personaggi siano figure geometriche abitanti una porzione dello spazio di solo due dimensioni? L’immaginazione si esercita su binari nuovi grazie a qualche disegno ed a spiegazioni chiare e concise.

L’unica cosa che mi ha reso la lettura un po’ difficoltosa è stata la mancanza di una trama. La gran parte del libro, raccontata in prima persona da un Quadrato, che è anche un matematico, spiega come sia strutturato il mondo di Flatlandia. In poche parole la gerarchia è organizzata in base alla regolarità ed al numero dei lati di ogni poligono, dal più umile e barbaro dei Triangoli Isosceli, al perfetto Circolo ( che diventa tale avendo un numero talmente elevato di lati da non distinguere più gli angoli che essi formano ). Le Donne sono semplici Linee Rette senza un intelletto riconosciuto, discriminate e relegate nelle abitazioni salvo in occasione di feste religiose. I sentimenti e l’emotività sono giudicati primitivi e per questo permessi solo a loro ed ai neonati.

Non mi dilungo oltre nella descrizione e nella velata critica sociologica che traspare ad ogni riga perché, non essendoci trama, vi racconterei tutto il libro!

Il ragionamento di cui vorrei parlare è quello riguardante le dimensioni.

Il Quadrato di Flatlandia scopre la Terza Dimensione, quella dell’altezza. Egli, come un profeta, cerca di illuminare i suoi conterranei che lo giudicano visionario e lo imprigionano perché non è in grado di dimostrarne l’esistenza.

Vi ricorda qualcosa?

Non è questione di possedere o no una fede, ma di notare il parallelismo con le vicende dei profeti che conosciamo.

La domanda che questo libro lascia aperta è: come possiamo essere sicuri che non esista qualcos’altro che noi semplicemente non siamo in grado di determinare?

Un libro che arricchisce, che mostra la nostra realtà, tangibile e non, in un’ottica completamente diversa, grazie all’Analogia.

Come “1984” di Orwell, credo che questo racconto andrebbe fatto leggere nelle scuole. Per comprenderlo non servono che poche nozioni geometriche e sono convinta che appassionerebbe tanti studenti oltre ad invogliarli al ragionamento ed al senso critico.

Quindi sì, la mia opinione è: leggetelo!

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