“Uomini e topi” di John Steinbeck

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Capita a volte che scelga un libro semplicemente perché

*è un classico
*è un regalo
*pare sia l’unica a non conoscerlo.

In questi casi inizio a leggere senza pormi alcuna domanda su argomento e genere.

Male. Faccio molto male.

Agendo così c’è il rischio di restare traumatizzati ed è quello che mi è successo leggendo “Uomini e topi” di John Steinbeck.
Per tutta la durata del libro mi sono sentita come la pallina sul piano inclinato: rotolante  verso un inevitabile e tragico finale.

Questo libricino è un romanzo breve ispirato ad un fatto realmente accaduto nel primo dopoguerra in California che Steinbeck traspone nel 1930, durante la grande depressione.

Protagonisti sono due lavoratori stagionali, che passano da una fattoria all’altra nella speranza di risparmiare abbastanza di avviare un’attività in proprio.
Steinbeck ci presenta le caratteristiche dei due protagonisti: George smilzo, ma di mente pronta, Lennie forzuto, dalla mente di fanciullo.
Capiamo subito che sono scappati dalla fattoria dove lavoravano per qualcosa che ha combinato Lennie, ma che scopriremo in seguito.

Nel nuovo ranch, ad uno ad uno vengono introdotti gli altri personaggi fra cui Curly, il figlio del padrone, viziato ed attaccabrighe e sua moglie, a cui non viene fatta nemmeno la gentilezza di un nome, una ragazza annoiata che cerca di esercitare il suo fascino da attrice mancata sugli altri braccianti.

La sensazione che si stia andando inevitabilmente verso il disastro rimane attaccata al lettore persino quando sembra che George e Lennie abbiano trovato un terzo compagno e, grazie ai risparmi di quest’ultimo, siano più vicini che mai ad avere la somma per comprarsi una fattoria e realizzare il loro grande sogno.

Il problema è Lennie, la cui mente di fanciullo non è in grado di controllare la sua forza, soprattutto quando spaventato. E’ di animo buono ed in costante ricerca d’affetto, per questo adora accarezzare piccoli animali. I problemi sorgono quando questi reagiscono alle eccessive attenzioni. Inevitabilmente, li uccide.
Non serve essere esperti in criminologia per sapere che il percorso di un serial killer molto spesso parte dagli animali e prosegue verso gli esseri umani.
L’andamento della storia è tragicamente prevedibile.

Nella prefazione a cura di Luigi Sampietro leggo che la visione di Steinbeck è fortemente umanista, dove l’uomo non è misura di tutte le cose, bensì una parte del tutto. In questo caso il “tutto” è, secondo me, anche l’inesorabilità del destino. Un “tutto” da cui non si può sfuggire, nonostante la bontà d’animo e l’innocenza delle anime semplici.
Realista o pessimista che sia questa opinione, credo sia per questo, che finito di leggere, lo sguardo rimane fisso in un punto imprecisato del muro.

Steinbeck racconta in modo molto asciutto tutto ciò che accade, quasi da cronista. Nella sua prosa non ci sono giudizi né opinioni ed infatti il primo titolo di quella che per un po’ avrebbe dovuto essere un’opera drammatica – da portare in giro per i teatri americani – fu Something That Happened – “Qualcosa che è successo -. Personalmente l’avrei preferito. Lo trovo molto più incisivo. Conciso. Terribile.
Of Mice and Men mi suggerisce invece la visione della classe che deve lavorare per vivere. L’uomo è condannato, in luoghi maleodoranti, ad un’esistenza faticosa e frenetica dove il massimo risultato possibile è la mera sopravvivenza.
Terribile anche questo in effetti.

Nonostante Steinbeck abbia deciso di trasformare l’opera in un romanzo breve, quest’ultima ne conserva ancora la struttura.
Più che capitoli troviamo scene ambientate in luoghi chiusi dove i vari personaggi entrano ed escono e i rumori provenienti dall’esterno permettono di immaginare l’ambientazione. I personaggi sono pochi e molto caratterizzati.

Se possiamo beneficiare dei traumi che questo libro regala lo dobbiamo a Cesare Pavese che lo tradusse nel 1937, ad un anno dalla sua pubblicazione.
In ultima analisi, non posso dire che questo libro mi sia piaciuto, ma mi ha segnata perchè mi sono accorta che ho impiegato molto più tempo a riordinare i pensieri e a scrivere questo articolo che a leggerlo. Quindi sono molto contenta di averlo ricevuto in regalo.

Seguendo l’idea del Songbook della NNE edizioni, ho deciso di continuare ad abbinare ogni libro ad un brano musicale che me lo ispiri.

L’unico problema è che solitamente ho in testa le musiche con cui sto lavorando a prescindere da cosa stia leggendo – ogni tanto è un po’ una maledizione – , ma questa volta credo che le due cose combacino.

Vi lascio quindi con il link di Tod und Verklärung – Morte e Trasfigurazione – di Richard Strauss. Ascoltate bene l’ultimo tema perché è soprattutto a quello che mi riferisco.

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