Una delle ragioni per cui leggo è che ogni volta spero di ritrovare le sensazioni di appagamento, meraviglia e completezza che solo i libri veramente speciali regalano.
Sì, ci sono quelli che ci piacciono molto, ma poi arrivano i capolavori che ti schiaffeggiano in piena faccia. PAFF.
E che ti cambiano.
Dunque sono molto contenta perché il mio empireo degli scrittori preferiti ha un +1 e si chiama Margaret Mazzantini.
Chi mi conosce sa che adoro l’emisfero Settetrionale, l’Occidente ed il Nord in generale. Basta che un libro sia ambientato in quei luoghi per essere ardentemente desiderato.
La Mazzantini deterrà quindi il primato per esser stata colei che mi abbia davvero fatto desiderare l’Africa e gliene sono molto grata.
Non lasciatevi però ingannare dal mio entusiasmo, questo libro è splendido ed entusiasma in quanto tale, ma è terribile. Terribile.
Soprattutto all’inizio non ci sono riferimenti a date precise ed è altalenante la sensazione in essere in una favola senza tempo ed il sapere esattamente in che anni e in che eventi storici si svolge la storia.
Le protagoniste principali sono due madri che non si incontreranno mai, ma alle cui vite partecipa un terzo protagonista. Il mare.
Il Mar Mediterraneo che divide l’Italia dalla Libia e che, ci piaccia o no, contiene tutte le tragedie di innocenti sacrificati ad una politica che cambia continuamente idea sui rapporti tra questi due paesi.
Jamala è una madre, una profuga di guerra in fuga che cerca di regalare a suo figlio Farid un futuro migliore.
Angelica è una “tripolina”. Nata in Libia da genitori siculi scappati dalla povertà e poi cacciata, come tutti gli italiani, dalle truppe di Gheddafi nel 1970. Diventerà mamma in Italia senza mai riuscire a guarire dal mal d’Africa.
Jamala ed Angelica attraversano il Mar Mediterraneo e, anche se in direzioni opposte, provano gli stessi sensi di abbandono e smarrimento causati dalla perdita delle proprie origini.
Sulla trama di più non posso dirvi.
Però aggiungo che, da grande amante dei tomazzi quale sono, è bastato un libricino piccino picciò a farmi innamorare perdutamente di questa scrittrice super partes capace di raccontare la realtà senza cadere in caramellosi sentimentalismi od in sterili cronache. La sua penna si colloca nel mezzo, dove la realtà si eleva ad opera d’arte pur conservando la sua crudezza.
Ci tengo a citarvi questo esempio pratico che si riferisce al l’uccisione di Gheddafi:
L’insensatezza della rabbia postuma. Nessuna gioia, solo un macabro trofeo che sporca i vivi.
Pura bellezza.
Siamo di fronte ad un altro libro che andrebbe sbattuto violentemente sulle/nelle teste degli scolari*, perché trovo la sua ricchezza inestimabile da un punto di vista sociologico e di apertura mentale.
Tuttavia non credo esista per lui una musica giusta se non il silenzio. Un silenzio di cordoglio e presa di coscienza perché
Sotto il piede di ogni civiltà occidentale c’è una piaga, una colpa collettiva.
*licenza poetica