Colpa mia. E’ deleterio cominciare un romanzo con troppe aspettative, quindi ora cercherò di essere più obiettiva possibile.
Tenevo d’occhio questo libro da parecchio, tra gli altri motivi anche perchè attualmente nella cinquina finalista del premio Strega di quest’anno.
Si tratta di una storia autobiografica. Teresa Ciabatti sembra compiere un’autoterapia attraverso la scrittura per capire cosa l’abbia resa la donna anaffettiva, insoddisfatta e depressa che è oggi.
La penna è scostante, come un continuo flusso di coscienza. Compaiono flashback all’interno di singole frasi ed esclamazioni. Ciò che mi ha colpito di più sono le continue evocazioni ai genitori, come se la scrittrice fosse alla ricerca spasmodica dell’approvazione e del parere di mamma e papà. Sono talmente frequenti che rasentano l’intercalare e compaiono in tutto il libro, indipendentemente dall’età di Teresa. Qualcosa in lei non è cresciuto.
Gli episodi si susseguono a grandi linee in ordine cronologico, ma sono continuamente inframmezzati da mini lampi di coscienza. Un giocattolo, un’immagine mentale, una sensazione. La narrazione procede per pennellate, impressioni, ossessive ripetizioni dell’incipit “Mi chiamo Teresa Ciabatti e… ” . Distrarsi può essere fatale. Il luogo, il tempo e l’interlocutore cambiano con la velocità di una sinapsi e se inizialmente può essere uno stile molto interessante, alla lunga personalmente stanca un po’.
Infatti devo ammettere che questo libro mi ha lasciata insoddisfatta perchè nella seconda di copertina si intuiva un mistero da svelare. Invece sì, scopriremo qualcosa di più sulla figura enigmatica – e aggiungerei profondamente detestabile – di Lorenzo Ciabatti, ma saranno più i punti interrogativi rimasti di quelli risolti.
E’ come se tutto il libro fosse un preambolo, una lunga ouverture con l’introduzione dei leitmotiv della trama vera e propria che però non arriverà mai.
Alla fine rimane un senso di allappamento in bocca, come di un boccone troppo piccolo che non ci ha permesso di percepire tutte le sfumature del boccone.
E’ ovvio che in un romanzo autobiografico o comunque basato su fatti realmente accaduti non si possano aggiungere informazioni innesistenti, ma esserne cosciente non mitiga il senso d’insoddisfazione che mi rimane. Insieme a questo però c’è la sincerità della penna della Ciabatti che si descrive senza sconti, mostrandoci la sua personalità tormentata che ad un occhio esterno può anche apparire antipatica ed arrogante. Credo che ci voglia molto coraggio – o disperazione – per consegnare alla stampa un testo simile. Infatti ciò che appare prepotentemente è il suo disperato bisogno di attenzioni.
Tutto le è facile nella prima infanzia, Teresa brilla della luce riflessa del padre che la vizia in un modo scandaloso, negandole il piacere del desiderio, dell’attesa e della gioia della conquista. Lei ha tutto e subito. Troppo tardi i genitori si accorgono il male che le hanno fatto. Nell’adolescenza il crollo. Le è sempre bastato essere la figlia di , essere ricca o fare un capriccio per ottenere ciò che voleva. Ora è smarrita. Non sa più cosa vuole e neanche come ottenerlo perchè si ritrova completamente priva degli schemi comportamentali che avrebbe dovuto sviluppare nella prima infanzia. Non si piace, si odia e odia di riflesso il mondo. Si perde.
Non so bene neanche io cosa sono, […] non cucino, non guido, non so pagare una bolletta alla posta, non so che numero di scarpe porti mia figlia. Un’inetta. Quando è morta mia madre non sapevo chi chiamare – 118? Pompe Funebri? -, ho chiamato Michele del bar.
Teresa è schiacciata. Divisa dalla spensieratezza della ricchezza e oppressa dalla sensazione che qualcosa in suo padre non vada. Soprattutto da bambina ripete in continuazione di essere la gioia, la luce degli occhi del padre, quasi come se cercasse di convincersene. Ribadisce questa richiesta d’amore persino nel titolo dove si autodefinisce come desidererebbe essere. E’ un aspetto che mi ha lasciato una profonda pena e tristezza per questa figlia bisognosa, quasi totalmete ignorata dal padre anaffettivo e a volte crudele nei suoi “metodi d’insegnamento”.
Ho sperato che questo libro potesse definirsi un romanzo di formazione, dove attraverso la ricerca e la scrittura Teresa Ciabatti fosse riuscita a trovare pace. Putroppo non mi è sembrato.
Trovo bellissima l’immagine della prima e quarta di copertina, un po’ troppo grande e scomodo il formato e spessa la carta. Io amo le pagine sottili, che fanno “crick-crack” quando si voltano, ma è un problema mio!
Diffilce trovare una colonna sonora, perchè in questo romanzo la gioia descritta è come un animaletto indifeso ed ignaro braccato da un terribile mostro.
Immaginate di essere nella vostra piscina privata, con un materassino ed un cocktail ad ascoltare Sapore di Sale di Gino Paoli con però in sottofondo la colonna sonora de Lo Squalo del sempre immenso John Williams. Et voilà.
[…] del premio Strega 2017. Ho scelto La più amata di Teresa Ciabatti – di cui ho parlato qui […]
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