“La Strada” di C. McCarthy

Dovete perdonarmi se casserò uno dei libri che sento incensare a destra e a manca.

Vi avviso anche che ci sarà qualche spoiler sull’unico aspetto positivo di questo romanzo. Non mi preoccupo troppo a trattenermi perchè tanto non vi consiglio assolutamente di compralo, ma, ad ogni modo, siete avvisati!

Davvero, aiutatemi a capire. Cosa mi è sfuggito? Perchè non condivido nulla di ciò che trovo scritto di positivo su questo romanzo?
Sì, ok, lo stile di scrittura essenziale è piacevole, a patto che racconti qualcosa però! Io vedo in questo libro un tragico manuale di sopravvivenza per situazioni all’addiaccio.
Generalmente mi piacciono i libri a tema dispotico, ma ci deve essere un senso. Io non posso leggere 220 pagine tutte uguali che non partono e non arrivano in nessun posto.

La trama parla di un padre e di un bambino, che resteranno talmente aninomi da non avere mai un nome, in fuga da un mondo distrutto dove il genere umano e la natura tutta sono stati quasi estinti da un probabile incendio o cataclisma che, di nuovo, non ci verrà dato sapere.

Credi che i tuoi padri ti stiano guardando? Ce ti valutino nel loro libro mastro? Secondo quale criterio? Non esiste nessun libro mastro e i tuoi padri sono morti e sepolti.

Non capiamo nemmeno dove siano diretti i protagonisti, probabilmente avanti, nella speranza di trovare ancora una città abitata. Il romanzo si snoda su un continuo e faticoso alternarsi tra imminente morte di stenti e ritrovi fortuiti di beni di prima necessità. Ci vengono spiegate per filo e per segno le azioni pratiche che compie il padre, la ricerca nelle case disabitate, le tenere premure verso il figlio, i tentativi di non far morire in lui la speranza.

Quando sognerai di un mondo che non è mai esistito o di uno che non esisterà mai e in cui sei di nuovo felice vorrà dire che ti sei arreso .

I dialoghi sono scarni e fin qui nessun problema, ma spesso e volentieri l’uno riprende la frase dell’altro per rispondere. Ogni tanto lo capisco, sempre annoia. Rimbomba. Rindonda.

Una cosa mi è piaciuta. Una. L’idea che il padre spieghi al bambino – di età indefinita, ma che si esprime e pensa come un adulto… – che loro sono i buoni perchè portano il fuoco. Solo alla fine – ecco lo SPOILER -, si capisce che il fuoco in questione sia la bontà. Loro sono i buoni ed è quindi importante che sopravvivano perchè nel mondo rimanga la speranza. Ok, splendida metafora. Ma dopo 220 pagine di nulla mi spiace, non basta come coup de théâtre.

Io capisco l’intento distopico, capisco anche il volerlo rappresentare più come  condizione umana che come mondo praticamente descritto… però non lo apprezzo. Io devo sapere, devo capire, non mi basta una sensazione. Se leggo è perchè sono curiosa come una scimmia quindi quando tu, oh scrittore, esageri con i non detti, io mi arrabbio.

Come pezzo direi che il tanto discusso 4’33” del compositore sperimentale John Cage sia perfetto.
Questa composizione prende il nome dalla sua durata e a qualunque musicista la esegua, l’indicazione del M. Cage è Tacet.

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Un commento

  1. Posso dire che dopo aver letto la tua opinione sono ancora più curiosa di leggere questo libro. Da lettrice accanita, blogger e autrice trovo che il tuo “spazio” sia davvero molto carino, ovviamente iscritta dubito😉 a presto LP

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