“Kafka sulla spiaggia” di H. Murakami

La felicità è una fiaba, l’infelicità un romanzo.

Ammetto che, contrariamente alle mie abitudini, ho scattato questa foto prima di finire il romanzo, ma quando ho visto quelle foglie proprio della sfumatura “giusta” ho pensato che non avrei trovato niente di meglio.
Per me Murakami è sinonimo di autunno e mi piacerebbe continuare a leggere un suo libro ad ogni novembre come faccio dall’anno scorso. E’ come avere un apputamento privato da attendere nei mesi precedenti. Suona un po’ da maniaca, me ne rendo conto…

Risvolti inquietanti a parte, questo è il terzo libro che leggo dopo Norvegian Wood, Underground e 1Q84, ma solo ora credo di aver capito lo stato d’animo con cui va affrontata la scrittura di Murakami.
In 1Q84 sono rimasta molto delusa dall’apparizione del surreale. Da persona razionale, non capire esattamente cosa, con chi, in che luogo e soprattutto perchè stesse accadendo qualcosa mi ha disturbata non poco.
Amando però profondamente lo stile di scrittura di Murakami e la sensazione di tranquillità che mi genera non mi sono arresa e ho cominciato Kafka sulla spiaggia lasciando da parte ogni pregiudizio e soprattutto ogni razionalità.
E’ il caso di dire che ho lasciato che mi traghettasse in acque sconosciute, senza che mi facessi domande o cercassi risposte.

Risultato?
Bene. Benissimo.
Ho fatto un viaggio stupendo ai limiti ed oltre della realtà. Un viaggio filosofico e quasi sensoriale. Non ho capito tutto, anzi, alcune scene quasi hitchcockiane le avrei volentieri evitate – per questo su Goodreads ho tolto una ⭐️ – ma ho deciso di giudicare questo libro nel suo complesso accettando le domande che mi ha lasciato come parte del pacchetto.
Ok, non è del tutto vero. L’avessi qui davanti lo torturerei per sapere se almeno lui avesse tutto chiaro o se esista una guida per leggere i suoi romanzi. Mentre leggevo però ho trovato quella che sarebbe potuta essere la sua risposta:

Il mondo sovrannaturale, alla fine, sono le tenebre del nostro spirito.

Murakami, intesse una trama, come sempre pure molto complicata e con diversi personaggi, ma lega il tutto come un flusso di coscienza o se preferite una massa gelatinosa.
Credo faccia anche dell’ironia a se stesso quando scrive che Tamura è di poche parole.
Tutti i suoi personaggi lo sono. Ma tutti.
Tutti mangiano poco e tutti dormono bene.
Ci sono diversi parallelismi con i personaggi di 1Q84, l’infanzia senza genitori o con genitori che sarebbe meglio non avere, la diligenza nella preparazione fisica personale o anche la solitudine – ricercata o meno -.

Sono al sicuro nel contenitore del mio io. I bordi coincidono perfettamente: un piccolo clic e scatta la serratura. Così va bene. Sono nel mio rifugio di sempre.

Se accettate la sfida di Murakami – accettatela -, l’unico altro consiglio che vi do è leggere tante pagine di seguito per lasciarvi il tempo di entrare nello stato pseudo ipnotico. Spot troppo brevi lo spezzerebbero ed è uno degli aspetti più importanti.
Prima di presentarvi la trama però ecco l’estratto che a momenti mi fa partire una standing ovation in pieno soggiorno:

Se c’è una cosa che mi indigna sono gli “uomini vuoti”. Persone insensibili che coprono questa loro mancanza di immaginazione, questo loro vuoto, con un ammasso di segatura e senza rendersene minimamente conto se ne vanno in giro per il mondo a tentare di imporre a tutti i costi questo loro ottusità agli altri, mettendo in fila parole vuote e senza senso. […] gente priam di immaginazione, intollerante, senza oriszzonti. Gente che vive una realtà datta di convinzione tutte sue, slogan vuoti, ideali orecchiati qua e là , sistemi rigifdi. Sono queste le persone che a me fanno capire ciò che e giusto e svagliato è importante. […] Ma la ristrettezza di vedute, la rigidità di chi è prvio di immaginazione ha una natura simile a queslla dei parassiti. Si trasferiscono da un organismo all’altro, mutano di foma e continuano a vivere e proliferare.

Brevemente, la trama è fatta di due macrotracce. Una riguarda Tamura Kafka, quindicenne sorprendentemente maturo scappato dal padre diabolico con una maledizione che lo insegue. L’altra riguarda Nakata, un vecchio con il cervello di bambino che parla con i gatti e scappa da un delitto che è stato costretto a commettere. Non si incontreranno mai, ma i loro destini sono intrecciati profondamente nonostante le loro intelligenze siano opposte.

Se al mondo ci fossero solo dei grandi uomini o dei geni, tutto sarebbe ancora più complicato. C’è bisogno di persone che tengano la situazione sotto controllo, e che si occupino dei problemi pratici.

Dopo questa frase avrei volentieri fatto scattare un altro applauso a scena aperta!

Poi, lo so che non c’entra, ma sono l’unica a trovare il carattere utilizzato dall’Einaudi rilassante? E non solo, la carta, le copertine… sarà un feticcio, ma li adoro.
In ultimo aggiungo anche una “quasi” battuta, non perchè sia importante, ma perchè è la prima che trovo in Murakami!

-Sakura, come mai sei così buona con me?<<<<
on è che per caso sei scemo?

Niente, è stata talmente inaspettata che sono scoppiata a ridere!
Mi sono anche divertita con un po’ di filosofia matematica…

-Il niente può aumentare?<<<<
ornare al niente significa diventare zero, e se allo zero si somma zero, il risultato è sempre zero.

…e ottimi consigli.

Quello che devi fare tu adesso è comprendere il suo stato d’animo di allora e accettarlo. Devi comprendere la paura e la rabbia che la opprimevano in quel periodo e accettarle come se fossero tue. Non ereditarle e ripterle. In altre parola, devi perdonarla. Sarà la tua salvezza.

Associare la musica a Murakami è molto facile perchè la sua letteratura ne è piena. Ogni volta specifica anche esecutori e versione. In questo caso vi lascio How To Disappear Completely dei Radiohead, la canzone che Tamura ascolta nel suo walkman. Io la trovo abbastanza orrenda – chiedo scusa ai fan -, ma per testo e atmosfera calza a pennello.<<<<
scio anche il primo tempo del trio N.7 “Arciduca” di Beethoven nell’edizione del Million Dollar Trio – Rubinstein, Heifetz e Feuermann – che è precisamente quella indicata da Murakami.

Può darsi che avere in mano il simbolo della propria libertà dia una felicità superiore a quella di possedere la libertà vera.

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