“Non mi può succedere niente di male, questa bambinata dell’essermi innamorato mi protegge.” E scoppiò a ridere perchè se non fosse stato per la rivelazione dell’amore, che dipingeva il mondo a colori accesi, si sarebbe creduto vittima di un maleficio.
Sapete che Isabel Allende sia una delle mie scrittrici preferite.
Sapete anche che mi imponga di leggere solo un suo libro all’anno perchè sono drammaticamente cosciente che non siano infiniti.
Detto ciò: bello, ma non bellissimo.
Io capisco che mantenere i livelli de La figlia della fortuna o de L’isola sotto il mare – per non citare sempre e solo La casa degli spiriti – sia difficile, però questo libro è finito prima ancora che me ne accorgessi e non ho avuto la sensazione di fare un viaggio nel tempo e nello spazio come sono sempre stata abituata.
Tutta la trama è stata troppo veloce, troppo breve, troppo facile.
Sì, in questo romanzo ho visitato gli Stati Uniti durante la tormenta del 2015, ho vissuto il dramma dei guatemaltechi e del loro terribile viaggio attraverso il Messico, sono stata in Cile durante la brutale ascesa di Pinochet e addirittura ho assistito ad un giallo… eppure non mi è bastato.
Gli altri libri che ho citato mi hanno fatto vivere decine di vite, avventure, viaggi, emozioni ed esperienze che, una volta terminati, mi hanno lasciata frastornata come se fossi appena uscita da una macchina del tempo.
La magia questa volta non si è compiuta e mi dispiace molto anche se sapevo che questo giorno sarebbe arrivato.
Preciso che comunque ho divorato il libro e passato ore godibilissime perchè la penna dell’Allende è sempre una delle mie preferite. Anzi, vi lascio due esempi di una delle sue doti più apprezzabili: la velata ironia.
Teneva il computer in cucina e la stampante al terzo piano in una stanza che non era destinata a nessun altro uso […] in pochi avrebbero capito che l’obiettivo era fare esercizio salendo e scendendo dalla ripida scala.
La casa […] era appartenuta ad un mafioso […] e alla sua numerosa famiglia compresa una bisnonna siciliana che si rifiutò di uscire dalla sua camera quando in giardino furono sistemate le statue dei greci come mamma li aveva fatti.
Mille punti alla copertina perchè l’ho trovata davvero deliziosa, anche se è emblematico che il cognome dell’autrice sia più grande del titolo – di solito non è proprio un buon segno – .
Vi lascio come colonna sonora questo “breve” video di appena un’ora e un quarto con il suono del vento artico. A parte che la scoperta del rumore bianco e della sua utilità per concentrarsi ed isolarsi dai rumori molesti mi abbia migliorato la vita, tutto il libro è ambientato durante i pochi giorni della tempesta che si abbattè sugli Stati Uniti nel 2015 e gli altri luoghi ed eventi raccontati sono frutto di flashback quindi il suono del vento può essere omnicomprensivo!
Consiglio anche l’accostamento di un plaid, un gatto ed una tazza di tè!
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