Non reggo uno stato di benessere duraturo, da sempre cerco un male o una colpa che mi consumi. Ne ho bisogno per sapermi al mondo. Non sono capace di felicità, ma trascorro a volte momenti di insopportabile grazia.
Il nome di Donatella Di Pierantonio è associato al suo ultimo libro, L’Arminuta, con il quale ha vinto il Premio Campiello 2017, ma io ho iniziato a conoscerla con Bella mia che nel 2014 si è aggiudicato il Premio Brancati.
E’ interessante scoprire che tre su tre dei suoi romanzi abbiano ricevuto premi così prestigiosi anche considerando che eserciti la professione di dentista pediatrico – il primo, Mia madre è un fiume vince la quinta edizione del Premio Letterario Tropea-!
Insomma, avevo molte aspettative su quest’autrice e ho approfittato degli sconti del 25% sui tascabili Einaudi per iniziare a scoprirla.
Proprio per studiare odontoiatria, l’autrice si trasferisce a L’Aquila.
Molti anni dopo, nel 2013, il terremoto diventa quella che lei stessa definisce un’urgenza narrativa e un pretesto per lavorare sul lutto e sulla possibilità di trasformarlo.
La storia racconta di una famiglia distrutta dal sisma. Una coppia di gemelle viene separata. La madre perde la figlia, L’adolescente un genitore. L’ironia della sorte fa sì che l’unica vittima sia proprio la colonna portante della famiglia. La gemella indistruttibile e perfetta.
Come accade a chi appare troppo forte, non è stata protetta, pareva non averne bisogno, creatura autonoma e invulnerabile. […] Non potevo riunciare alle certezze che la riguardavano.
L’io narrante è della gemella sopravvissuta, che fino alla fine, identificandosi in tutto e per tutto con la sorella, non rivela il suo nome. Avevo talmente perso le speranze di scoprirlo che quando finalmente l’ho letto ho pensato di essermi persa per strada un personaggio.
Ogni membro della famiglia cerca di adattarsi alla nuova vita nel continuo altalenare tra la disperazione ed il riaffioramento di timide gioie sepolte. La protagonista, estranea ad ogni sentimento materno si trova a ricoprire il ruolo di genitore e a riscoprirsi donna.
E’ il primo che supera la distanza di sicurezza, dopo il terremoto. Infrange senza riguardi la bolla opaca del lutto dove mi sono ritirata, al riparo dal desiderio e dalle sue complicanze. La mattina del 6 aprile, quattro anni fa, il dolore si è diffuso e ha rimepito tutta la capacità disponibile, come i gas, è diventato la mia atmosfera, l’unico ossigeno respirabile. Non ho saputo provare altro, non mi sono distratta. Innamorarmi era l’ultimo dei futuri possibili, anche inutile, se non potevo raccontarlo a mia sorella.
Marco, l’adolescente orfano, cerca lo sfogo del suo dolore con mezzi inutili e ribelli, fino a che decide di rimettere in sesto la sua casa semi distrutta.
L’anziana madre trova motivo di vivere nell’occuparsi di chi ama, dalla tomba della figlia agli affetti ancora in vita, ai nuovi vicini.
Tra incomprensioni e mancati dialoghi sono molto commoventi le pagine in cui anche un cane, come tutti colpito dal terremoto, entra a far parte di quella famiglia sgangherata.
Già si appartengono, è tardi per separarli. Conoscono le due facce della devozione.
Una rigidità mi si frattura dentro, una barra metallica messa di traverso a sostenere il petto dall’interno.
Così ogni mattina Marco si sveglia ridendo, e quando sua nonna incrocia il cane in giro per le stanze, comprese quelle proibite, bisbiglia Dio ti benedica, senza farsi sentire.
Bella mia è un inno alla vita. Una coraggiosa rinascita dalle ceneri di una tragedia che sovverte gli equilibri di centinaia di famiglie. Non si parla di ricostruzione, ma di riequilibrio. La vita e la città di prima non ci sono più.
La scrittura è molto lineare ed evocativa. Vi lascio una frase che ho riletto più volte tanto l’ho trovata poetica.
Con la mano di taglio prendo da un muretto lo strato superficiale e mangio il sapore metallico di altezze mai viste.
Questo è un libro senza musica.
Nonostante esistano composizioni in cui si è cercato di rappresentare il sisma, per me il terremoto quello vero non ha niente di bello che possa nobilitarlo ad arte e mi sentirei di offendere chi questa tragedia l’ha vissuta davvero.
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