“L’altra figlia” di Annie Ernaux

L'altra figlia - Annie Ernaux

Ciò che sto facendo qui è rincorrere un’ombra.

Questo libro è quasi impossibile da classificare in un genere. E’ un memoir, un’autobiografia, un romanzo, ma soprattutto un esempio di scrittura terapeutica.
Per Annie, la spensieratezza propria dell’infanzia svanisce di colpo la domenica di agosto in cui sente per caso la madre raccontare ad una conoscente dell’altra figlia. Quella più buona. Quella che è morta anni prima.
Buio.
Non solo scopre di non essere figlia unica, ma di aver già perso una lotta a cui non ha mai saputo di partecipare.

Tu sei l’impossibilità stessa della colpa e del castigo. Non hai nessuna delle caratteristiche di una bambina vera. Come le sante, un’infanzia non l’hai mai avuta.

Da quell’indimenticabile pomeriggio, l’ombra della sua sorellina le fa compagnia, nel bene e nel male e dopo tanti anni, ormai adulta, le scrive, donandole l’esistenza che i genitori hanno sempre negato nel vano tentativo di non soffrire e, ironia della sorte, di proteggere la secondogenita.

Peter Pan è scappato dalla finestra aperta dopo aver visto i genitori chini sulla sua culla. Un giorno ritorna. Trova la finestra chiusa. Nella culla c’è un altro bambino. Fugge di nuovo. Non crescerà mai.

Annie sembra invece riuscirci, non senza molti sforzi, ma il mio brano preferito è proprio quello in cui riesce a trasformare il suo senso di colpa nell’esser viva in qualcosa di più, una forza.

Può essere che io abbia tratto la mia forza da te, dalla tua morte e da una sopravvivenza che reputavo miracolosa. Che tu mi abbia dato un surplus di energia, una febbre di vivere.

Il silenzio che condiziona questo nucleo famigliare diventa quasi un personaggio a sè stante. La morale degli anni Cinquanta non permette che i figli facciano domande ai genitori o che questi ultimi si aprano con i bambini.

[Il silenzio] mi evitava il peso di quella venerazione che, con una crudeltà inconsapevole nei confronti dei vivi che mi indignava quando ne ero testimone, circondava alcuni bambini morti della famiglia.

Annie rompe questo silenzio seppur in forma scritta e in un modo che lei stessa definisce inutile poichè la sorella non potrà mai leggerla, ma quale conforto dà la scrittura ed il pensiero che chissà, in qualche modo queste parole le arrivino.
A parer mio questo libro è una prova di coraggio. Il coraggio di parlare del peso e a volte dell’ingombro che i morti lasciano e della tendenza a santificarli che distrugge chi è ancora in vita. Mi piacerebbe sapere se questa lettera abbia donato serenità all’autrice, permettendole di dare corpo all’ombra della sorella, potendo così lasciarla andare.

Scorgendo il titolo in libreria, ho sempre erroneamente pensato che l’altra fosse la sorella defunta, invece proprio la sua esistenza tramuta Annie nella numero due.  Il suo dolore traspare chiaramente. Non può vincere l’affetto dei genitori contro una sorella che morendo ha dichiarato di “andare da Gesù”. Si sente cattiva ed in colpa perchè ancora viva in luogo di un’altra. Percepisce il dolore dei genitori, non può lenirlo, ma ne porta il peso costantemente.

Ma il loro dolore l’ho sentito a lungo senza identificarlo, l’ho conosciuto senza riconoscerlo.

Il contrasto maggiore in questo libro è dato dal tema – ancora più forte perchè autobiografico – e la semplicità dello stile di scrittura.  Parole come buona, lei o domenica vengono caricate di significati terribili che stridono con la loro naturalezza. Trovo ammirevole e coraggioso scrivere di se stessi in modo tanto sincero. Non credo mi sia mai capitato. La Ernaux mette a nudo la propria anima con pregi e difetti.

L’altra figlia è stata la mia prima lettura di quest’autrice. Mi ha lasciata turbata e con un senso di incompiuto. Come troppo spesso mi accade quando leggo un libro di cui ho sentito parlare tanto bene, ho iniziato imbevuta fino all’orlo di aspettative.
Non sono stata delusa, ma mia è mancata la meraviglia di aver scoperto un capolavoro e non c’è bisogno vi chiarifichi il fastidio che mi crea.

E’ qualcosa da approfondire, questa assenza d’essere o questo essere fittizio.

Come ne L’altra figlia, anche gli altri libri della Ernaux – editi tutta da L’Orma editore – sono autobiografici. L’orginalità della scrittrice sta nell’abilità di renderli quasi delle indagini sociali senza orpelli o proclami.
Poichè la Francia si sente fortemente in questo libricino, come colonna sonora ho pensato ad un passaggio della musica che Rachel Portman ha composto per il film Chocolat, ambientato anch’esso in un piccolo paesino francese del dopoguerra. Ci ho ritrovato la nostalgia e la gioia dell’infanzia minata da una tristezza non ben definita.
Ci terrei a specificare che la luce che vedete in foto è quella di cui godo io al tramonto nella mia camera da letto. Nessun filtro occorso!

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