Quando una donna pronuncia la tipica frase non ho niente da mettermi ciò che vuol dire non è che il suo armadio sia sguarnito, ma che non ci sia nessun vestito che la rappresenti come si sente in quel preciso momento.
L’Atlante degli abiti smessi è un libro unico che parla di filosofia utilizzando un’enorme metafora. Elvira Seminara dona agli abiti vita, anima e personalità rendendoli personaggi attivi nella vita di chi li indossa.
Vestiti dalla voce allegra. Questo lo imparerai nel tempo, a riconoscere la voce dei vestiti. Ne avevo uno nero coi pois gialli a cascata che aveva un tono irresistibile, una voce argentina che in strada faceva voltare tutti gli altri vestiti.
Vestiti arpe, che fanno musica quando ti muovi, perchè assecondano l’aria, fatti di seta e fruscii.
La storia narra di una madre che si rifugia a Parigi e dei suoi tentativi di mettersi in contatto con la figlia che non le parla più. Siamo nel 1992 e non è un caso perchè internet arriva nella vita di tutti i giorni solo nel 1994, quindi rintracciare qualcuno che si nega è tutt’altro che semplice.
Eleonora, la mamma, inizia a scrivere l’inventario dei suoi vestiti che ha lasciato a Firenze in eredità a Corinne, la figlia, infarcendolo di consigli, aneddoti e confessioni.
Sembra quasi non volerlo finire, temendo il momento in cui sarà terminato e resterà solo da aspettare la reazione di Corinne.
Tutti gli oggetti, non solo i vestiti e i corpi, patiscono le brutte posture. Per questo a volte cadono da soli, o si squarciano, si spezzano al minimo tocco. Sono affaticati.
Ho trovato l’idea della Seminara veramente originale e geniale. In questa intervista racconta la sua genesi; trovando per strada una “catasta colorata” di abiti smessi strabordandi da un cassonetto. L’impressione che quei vestiti avessero delle storie da narrare e che soprattutto non fossero ancora arrivati alla fine della loro missione l’ha commossa e ha fatto germogliare le fondamenta per questo romanzo che risulta un vademecum per una vita serena e consapevole.
Vestiti bianchi. Non ce n’è mai abbastanza dietro le ante. Ricordalo, figlia mia, il bianco scalda e rischiara, rincalza le palpebre e accende i denti. Lino, lana, seta, cotone, panno, va bene anche il bianco panna, purchè non incline al crema o al nocciola, e non lo chiami bianco-sporco.
Trovo commovente la voce di questa mamma che non si arrende al silenzio della figlia e che le apre cuore e anima ammettendo le sue colpe e parlando di scomode verità.
Risulta cosciente del fatto che
le donne devono perdonare le madri per crescere
e cerca il suo perdono personale.
Non vi dico l’ansia per sapere se e quando l’avrebbe ottenuto.
Il punto è proprio questo: ho apprezzato moltissimo l’idea, la filosofia e l’amore che in molte forme pervade tutto il libro, ma ho trovato lo svolgimento della trama troppo lento.
Le varie descrizioni delle proprietà degli abiti sono moltissime ed interessanti, ma alla lunga appesantiscono e ritardano inevitabilmente il finale che personalmente ho aspettato col fiato sospeso.
Questa l’unica pecca per cui non riesco a dare cinque stelle piene a questo romanzo.
Quanti gesti radunati sulle cose, si capisce che smettono un giorno di essere cose, stanche di subire i nostri atti grossolani. E si rompono, spezzano, o spariscono dalla tua vita. Non siamo noi a smarrire le cose, come crediamo […]. Sono loro che ci abbandonano, cercando di meglio.
Mi sento comunque di consigliarlo anche se non so quanto possano apprezzarlo gli uomini che, come ci dimostra Augias in questa puntata di Quante Storie, non riescono a capire la serietà dell’argomento – complimenti a Michela Murgia per l’aplomb perchè io sarei stata molto meno tollerante -.
L’umanità instupidisce in massa, ma rinsavisce nel dettaglio.
Poichè Eleonora si rifugia a Parigi per scrivere e ritrovare la serenità, mi è venuta in mente la canzone Le festin tratta dalla colonna sonora di Ratatouille – capolavoro indiscusso della Pixar che spero non sia il caso di specificare -. Essere stata in questa magnifica città mi ha aiutata a rivederla attraverso questo romanzo che me l’ha riportata chiaramente agli occhi.
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