diṡobbediènza (o diṡubbidiènza) s. f. [der. di disobbedire, disobbediente]. – 1. Atto con cui si disobbedisce, trasgressione a un ordine: d. ai genitori, alle leggi, a un regolamento, alla Chiesa.
Cercare la definizione completa del titolo è stata la prima cosa che ho fatto finita la lettura perchè questo libro è molto più di quello che appare nella quarta di copertina.
Disobbedienza è il romanzo d’esordio di Naomi Alderman. Nel 2006 ha vinto l’Orange Prize for New Writers e nel 2007 il Sunday Times Young Writer of the Year Award e da ieri è il libreria l’edizione ricopertinata della Nottetempo Edizioni che ringrazio tantissimo per avermelo fatto leggere in anteprima!!!
Se in Ragazze elettriche l’annosa questione è cosa farebbero le donne se diventassero improvvisamente più forti degli uomini, potendo finalmente riscattarsi da secoli di maschilismo, in Disobbedienza non c’è nulla di fantascientifico.
Naomi Alderman ci porta nell’ambiente in cui è cresciuta: la comunità ebrea ortodossa di Heaton a Londra. Ronit, la protagonista, è figlia del Rav, ovvero della più importante carica religiosa all’interno della comunità. Insofferente alle restrizioni dentro e fuori casa, si trasferisce a New York e lì resta per sei anni, fino a che la morte del padre non la richiama in Inghilterra.
Non poteva essere giusto quello che avevo fatto. E se non lo avessi fatto? Be’, nemmeno quello sarebbe stato giusto.
Voilà. Chi come me si aspettasse una vicenda di fanatismo&fuga alla Scientology è fuori strada. Sì, ci sono regole estremamente rigide, repressione di desideri e sentimenti, ipocrisie e maschilismi, ma non sono il fulcro della trama.
Questo romanzo è un viaggio consapevole all’interno della cultura ortodossa ed è interessante sapere che Naomi Alderman sia cresciuta proprio nella comunità di Hendon a Londra, abbia vissuto un periodo a New York e sia poi tornata in Inghilterra, anche se ella stessa afferma che, a parte l’ambientazione, non ci siano altri collegamenti con la sua vita privata.
Pensai a come Dio, la fede in Dio, in questo Dio, abbia fatto violenza a questa gente. A come li abbia distorti e piegati fino a impedire loro perfino di riconoscere di avere dei desideri, figuriamoci poi agire di conseguenza.
Voglio spendere due parole sull’impostazione dei capitoli perchè l’ho trovata davvero intelligente. Ognuno di essi inizia con un passo biblico e con la successiva spiegazione di come il tema trattato sia stato interpretato ed influenzi la vita quotidiana della comunità. Solo dopo la trama prosegue ed il lettore può davvero capire il significato degli sviluppi della vicenda.
Alla fine del libro c’è anche un nutrito glossario dei termini ebraici.
E’ davvero la cosa che più ho apprezzato del romanzo perchè mi ha permesso, da profana, di comprendere il più possibile l’ambientazione e le azioni dei personaggi. L’ho presa come un’estrema attenzione da parte della scrittrice per raccontare il suo modno. Devo dire che in un qualche modo mi sono affezionata ed è l’ultima cosa che avrei previsto!
A volte penso che la mia vita sia una punizione per la mia inadeguatezza, e che l’inadeguatezza a sua volta sia una punizione. Ma penso: se Dio mi vuole punire così sia. E’ Suo diritto. Ma è mio diritto disobbedire.
Ecco, torniamo al titolo. Disobbedienza. I motivi per cui si disobbedisce possono essere molteplici, ma se poi disobbedire, mostrarsi ostili e contrari diventasse un’abitudine a cui non si riesce più a rinunciare?
Ho passato tanto tempo a dimostrare che nessuno può dirmi quando parlare e quando tacere. Al punto che mi è difficile sapere quando voglio stare zitta.
L’intero libro è quasi un romanzo di formazione dove il significato di disobbedire viene sviscerato ed evoluto. Disobbedire non è fare a prescindere il contrario, ma tracciare la propria vita seguendone i desideri.
Nella citazione seguente Ronit si riferisce al padre che è solito sollevare un muro di silenzio ad ogni sua battaglia adolescenziale.
[…]mi ha vista crescere, tutto si muoveva nella stessa direzione, non c’era niente cui aggrapparsi. E invece hai bisogno di quel disaccordo, tutti ne abbiamo bisogno, in modo da renderci conto che al mondo non tutto è liscio e uguale. […] Hai bisogno di una finestra su un mondo diverso per capire che cosa pensi del tuo.
In un modo doloroso, Ronit riesce ad accogliere ciò che di buono ha la sua comunità dopo averla rifiutata ed averci messo un oceano a separarla.
Cerce cose rimarrando per sempre impossibili. Ma all’interno del possibile c’è lo spazio per vivere.
Naomi Alderman sta salendo rapidamente nel mio personale Olimpo degli scrittori.
Il motivo è molto semplice: i suoi libri generano profonde riflessioni ed è una degli aspetti che cerco in un libro. La riflessione intelligente, propositiva, non imposta e perciò stimolante grazie ai diversi punti di vista.
Vi lascio qui una sua intervista fatta proprio alle Edizioni Nottetempo in occasione dell’uscita della prima edizione. A parte il suo meraviglioso accento inglese – che pare gli inglesi non sopportano si noti – racconta proprio ciò che significhi per lei il termine disobbedienza ed il vivere all’interno di una comunità che, nonostante i pregi, rende complicato autodeterminarsi. Lo fa in un modo estremamente intelligente e filosofico.
Ho riflettuto su due modi di essere: sull’essere gay e sull’essere ebrea. […] Intanto non lo scegli. […] La seconda cosa è che sono invisibili […] e questo è interessante, perchè, se è vero che non scegli quello che sei, puoi però scegliere quello che vuoi mostrare.
…e lasciatemi per favore aggiungere un breve e pur determinante passaggio riferito alla condizione femminile:
La donna è privata, mentre l’uomo è pubblico. Quel che si addice all’uomo è la parola, quel che si addice alla donna è il silenzio.
Una curiosità: Naomi Alderman afferma che scrivere questo romanzo l’abbia portata a smettere di essere un’ebrea praticante.
Sappiate comunque che nulla è demonizzato all’interno del romanzo. L’ambientazione è oggettiva e ovviamente rispettosa.
Per la colonna sonora allego un video di Gilad Harel con cui ho suonato e che vi garantisco essere un clarinettista meraviglioso che accosta il Klezmer alla musica classica.
L’ultimo consiglio spassionato che vi lascio è di non leggere questo romanzo a stomaco vuoto perchè le descrizioni dei luculliani piatti kosher fanno decisamente perdere le bave. *iovel’hodetto
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