
[…] l’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato.
Di cosa parla questo libro? Di Piero e Bruno, due bambini che crescono insieme uniti dalle estati in cui il mondo cittadino dell’uno e quello montano dell’altro si incontrano.
No. O meglio, non solo.
I veri protagonisti sono la montagna e l’amicizia in senso lato. Piero e Bruno sono necessari al vero fulcro della trama.
Cognetti scrive un romanzo che non sconvolge nè impressiona, eppure emoziona. Nel leggerlo non troverete una storia imprevedibile nè particolari colpi di scena, ma una lettura resa piacevolissima dallo stile semplice e, soprattutto, dal suo profondo amore per la montagna.
Quest’ultima, come ogni entità oggetto di ammirazione umana, viene personificata diventando protagonista, madre, matrigna, amante, rifugio o perdita. E’ un’entità viva con cui gli uomini interagiscono di fatto in due modi: visitandola saltuariamente o stabilendovicisi.
Tutti gli innamorati delle cime troveranno un balsamo in questa lettura perchè poche cose gratificano come l’espressione di ciò che sentiamo esposta con più abilità di quella che possediamo. Ed è in queste felici congiunzioni che il lettore si ritrova a pensare Esatto!, l’ho sempre detto io!, ehi, come sono d’accordo!
[…] guidando pensai che tutte le montagne in qualche modo si somigliano, eppure non c’era niente, lì, a ricordarmi di me o di qualcuno a cui avevo voluto bene, ed era questo a fare la differenza. Il modo in cui un luogo custodiva la tua storia. Come riuscivi a rileggerla ogni volta che ci tornai. Poteva esisterne solo una, di montagna così, nella vita, e in confronto a quella tutte le altre non erano che cime minori, perfino se si trattava dell’Himalaya.
Se Cognetti sa parlare così bene della montagna è perchè da ormai otto anni abita in una baita in Val d’Ayas, alle pendici del Monte Rosa, molto vicino a Grana, paese in cui è ambientato il romanzo.
Ho letto diverse sue interviste e vi lascio qui quella più esaustiva tratta dal Corriere della Sera.
Non l’hanno mica scelto. Se uno va a stare in alto, è perchè in basso non lo lasciano in pace.
Cerco sempre di cominciare un libro sapendone il meno possibile perchè credo siano esclusivamente le sue pagine a dover parlare.
Una volta terminata la lettura faccio le mie piccole indagini sulla genesi del romanzo e la biografia dello scrittore.
In questo caso sapevo solo del Premio Strega – edizione 2017 – e quindi mi sono approcciata con la speranza di trovare un libro eccezionale.
Devo dire la verità che per quanto lo abbia apprezzato non è stato così.
Non ho avuto la possibilità di leggere tutti i libri candidati quindi la mia opinione lascia il tempo che trova, ho tuttavia la sensazione che manchi qualcosa per rendere questo romanzo così meritevole.
Per me un libro premiato deve avere uno stile riconoscibile, una trama ben orchestrata ed un messaggio evidente.
Cognetti scrive un romanzo ben strutturato e godibilissimo, ma privo della specialità che credo dovrebbe distinguere un vincitore.
La prosa mi piace perchè lineare, coinvolgente, evocativa e trascinante, ma non trovo riconoscibile lo stile. La trama risente dei fattori autobiografici che a volte non rendono chiara la direzione presa. Il messaggio è nella metafora delle otto montagne – che non svelo -, ma non lo trovo particolarmente incisivo.
Insomma, conservo delle perplessità sul premio, ma non sulla bellezza del romanzo e sul piacere che ho provato nel leggerlo.
Questo libro non ha colonna sonora, ma spero abbiate la possibilità di richiamare alla memoria i suoni della montagna: la voce di un ruscello, di una marmotta spaventata, del vento fra gli alberi, della calma e del silenzio della natura incontaminata. Non penso serva altro a tanta bellezza.
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