
[…] il processo è più importante del risultato, così come la performance per me ha maggiore significato dell’oggetto.
Scopro l’esistenza di Marina Abramović imbattendomi in un articolo sulla sua performance Rhythm 0 e ne sono colpita. Mi lascia perplessa dal punto di vista artistico, ma mi intriga molto da quello psicologico.
Bastano poi due amiche fidate entusiaste della sua autobiografia per convincermi a regalarmela.
Affronto questa lettura per rispondere alle seguenti domande:
– perchè l’arte di Marina Abramović include saltuariamente l’autolesionismo?
– è davvero così facile etichettarla come esibizionista e fermarsi lì?
– qual è il suo tipo di arte e si può definirla tale?
[ – sano voyeurismo ].
Vi dico subito che penso sia un bellissimo libro. E’ scritto in prima persona, scorrevole, approfondito, corredato di moltissime foto e molto sincero.
Marina Abramović racconta la sua vita e come questa sia interconnessa alla sua arte. Non nascondo che ho apprezzato di più le parti personali di quelle artistiche, ma sono talmente ben miscelate che non ho trovato ostacoli durante la lettura. E, soprattutto, ho avuto le risposte che cercavo, ho conosciuto una donna fortissima, intelligente e coraggiosa.
Mi ero convinta che l’arte dovesse essere disturbante, dovesse porre domande, dovesse predire il futuro. Ma se l’arte non è che politica, diventa come un giornale. Può essere usata una volta, e il giorno dopo è come una notizia ormai priva di attualità. Solo significati stratificati possono dare lunga vita all’arte: in questo modo, la società prende ogni volta dall’opera ciò che le serve.
Anche sul dolore e sulla sperimentazione Marina Abramović spiega esattamente il suo percorso e ne fuoriesce una donna molto coerente. La sua vita è interamente dedicata all’arte. Anche l’amore ne fa parte. Non è pazza, non è masochista, forse un po’ esibizionista sì, ma quale artista può permettersi di non esserlo.
[…] avevo imparato che il dolore è come una porta sacra da cui si accede a un altro stato di consapevolezza. Quando varcavi quella soglia, si apriva un’altra dimensione.
Nelle sue performances molto spesso il pubblico è parte attiva. E’ questo che mi ha fatto pensare a degli esperimenti sociologici. Marina Abramović propone delle situazioni che hanno uno specifico argomento, ma che contengono l’imprevedibilità della reazione del pubblico. E’ davvero molto interessante. Come ripete più volte, non è come a teatro. Nel teatro il sangue è ketchup, il coltello è finto. Nella performance art è tutto vero. Sangue compreso. Altrimenti non avrebbe senso.
In The artist is present – 2010, MOMA di New York – Marina Abramović è su una sedia. Di fronte, un’altra sedia è libera e può essere occupata da chi la desideri. Una volta seduti, l’artista e la persona si guardano negli occhi, senza parlare. La maggioranza degli spettatori si è commossa. Ecco alcune parti del libro in cui l’Abramović spiega la performance
Volevamo analizzare gli schemi nelle onde cerebrali innescate dagli sguardi reciproci e dalla comunicazione non verbale tra due estranei. Scoprirono che in quella situazione le onde cerebrali entrano in sintonia e producono schemi identici.
[…]
Venivi osservato da me. Non potevi andare da nessuna parte se non dentro di te. E il punto era questo. La gente trabocca di dolore e tutti cerchiamo di ricacciarlo giù. E se reprimi per troppo tempo il dolore emotivo, questodiventa dolore fisico.
Per quello che vi possa interessare, non amo la performance art più di prima, anzi, devo dire che non mi piace. Essendo violinista classica di professione ho difficoltà a scindere l’arte da un valore estetico che la perfomance art può serenamente ignorare.
Il punto infatti non è il gradimento, ma il messaggio che l’artista vuole comunicare e la sua capacità di trasmetterlo. Alcune delle performance di Marina Abramović – Rhythm 0, Balkan Baroque, Rest Energy, The artist is present – mi hanno colpita molto e questo fa tutta la differenza del mondo. Mi chiedo però se avrei provato le stesse sensazioni vedendo una sua performance senza aver letto questo libro. Chissà.
Sono però giunta alla conclusione che i nostri due modi diversi di concepire l’arte possano serenamente convivere perchè i loro scopi sono diversi.
… e non posso che gongolare nel leggere che per lei l’arte debba essere il più possibile immateriale e che questo la porti a considerare la musica la sua migliore espressione.
Non vi lascio la colonna sonora, ma il video di TEDTalks in cui l’ospite è proprio Marina Abramović. Non vi anticipo altro. Guardatelo.
In più, se amate i podcast, Michela Murgia le dedica questa puntata di Morgana.
[La foto l’ho fatta quasi ad inizio lettura, adesso il libro ha tutta la pellicina della copertina sfilacciata ed è pieno di post-it e sottolineature. E’ diventato un libro vissuto bellissimo!!!]
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